mercoledì 5 luglio 2017

Final Fantasy XII The Zodiac Age - Dalla PS2 alla PS4



Final Fantasy XII ebbe molte critiche sia per il sistema di combattimento non propriamente veloce, facile e immediato, sia per la storia che non rientrava nei canoni "romantici" propri del X, il cui successo fu abbastanza difficile da eguagliare all'epoca. 
Però una cosa è sicura: Final Fantasy XII ha regalato emozioni davvero uniche in quel 2006, qualcosa che difficilmente si vive nei FF successivi. Stilisticamente è ineccepibile: il mondo di Ivalice è vivo come non mai, è talmente ben caratterizzato che è impossibile non innamorarsi di quelle architetture, di quei paesaggi, di quella mitologia così antica e misteriosa.
La grafica fu criticata poiché esteticamente non rientrava nello stile di quel Final Fantasy X che ha reinventato la saga della Square su PS2, eppure riusciva a caratterizzare ulteriormente l'esperienza di gioco, poiché quei colori pastosi e realistici, quei tratti somatici dei personaggi a tratti spigolosi, la "granulosità" della grafica che andava ulteriormente a tratteggiare l'ambientazione di Ivalice, rendevano il titolo più unico che raro. 

Il problema di Final Fantasy XII non furono i personaggi (i più criticati Vaan e Penelo, ritenuti inutili ai più e il villain non propriamente un Kefka o un Sephiroth), non fu la storia (incentrata prevalentemente sulla guerra, la politica, le strategie militari e che sempre ai più non piacque affatto), non fu nemmeno il gameplay che simulava un MMORPG; il problema furono le aspettative, tema fondamentale della nostra generazione di videogiocatori, che ha rovinato lo stesso Final Fantasy XV. E inoltre all'epoca la PS2 era una console in piena espansione, e forse anche il pubblico videoludico non era pronto a un FF del genere. 
Felicissimo che abbiano fatto un remaster, che darà una seconda possibilità a un titolo grandioso sotto ogni punto di vista. Così come il IX, anche il XII ha necessità di brillare tra gli astri della fantasia finale.


domenica 29 gennaio 2017

Resident Evil 7 - Biohazard

 


Resident Evil 7 è meraviglioso.
La Capcom è riuscita a fare davvero un miracolo. Ha voluto osare e rischiare mescolando le carte in tavola rivoluzionando di nuovo la saga. In fin dei conti non aveva niente da perdere dopo quegli aborti di RE6 e spin-off vari. Imparando semplicemente dai propri orrori, è riuscita a creare forse uno dei videogame più belli di questa generazione.

Dopo il "rodaggio" con titoli come Amnesia, Outlast e persino lo stesso P.T. (sebbene si tratti di un teaser giocabile di un Silent Hill morto in partenza) la Capcom è riuscita a far tesoro di quelle esperienze e dei feedback ricevuti dai giocatori, e a far rinascere Resident Evil sfruttando il potenziale di quel genere che tanto odiavo, integrandolo perfettamente con il sistema di gioco, le atmosfere, i temi, i miti e gli orrori dei vecchi capitoli della saga; per non parlare degli omaggi al cinema horror d'autore. Abbandonare l'action per tornare alle origini del mito ha permesso a RE7 di essere una delle esperienze più disturbanti e al tempo stesso nostalgiche di sempre, per chi ha amato alla follia la saga di Resident Evil sino al Code Veronica.

Resident Evil 7 ha un comparto artistico lodevole, riportando il giocatore in quelle ambientazioni tanto familiari di Villa Spencer di Resident Evil per PSX. Come in ogni Resident Evil che si rispetti, in giocatore impara a sopravvivere all'interno della storia, trovando ogni sorta di arma da usare contro i nemici.
Per quanto riguarda i nemici, la famiglia Baker è una delle protagoniste principali di RE7. I suoi componenti, tra cui il capo famiglia Jack, sono apparentemente immortali nelle prime ore di gioco. Proprio la loro invincibilità e minacciosa presenza permettere al videogiocatore di immergersi in un'atmosfera horror degna di questo nome. Nascondersi, camminare lentamente per non farsi scoprire, cercare in tutti i modi di cercare qualche proiettile per rallentare Jack o Marguerite, è forse una delle esperienze più ansiose e adrenaliniche di questi ultimi anni.

La storia è ben raccontata, con molti colpi di scena e un finale che fa venire i brividi perché raccontato in puro stile Resident Evil, con un grandissimo riferimento ai capitoli principali usciti negli ultimi anni (ahimè, hanno persino annunciato che RE7 sarà collegato al film in uscita in CGI Resident Evil Vendetta). Il ritorno degli enigmi (pochi ma buoni) rende l'esperienza davvero un ritorno al passato.

In Resident Evil 7 non è importante a quanti proiettili sprecate per fare un head shot, ma è l'esplorazione. Esplorare la casa dei Baker è il fulcro di tutto gioco. A un certo punto, ogni singola stanza diverrà familiare al giocatore, in cerca di indizi sulla storia di questa famiglia psicopatica ed erbe mediche per potersi curare dal prossimo attacco di un micomorfo.

Riassumendo, Resident Evil è un gioco fantastico, ben equilibrato sia nel comparto gameplay, in cui il giocatore da che viene "spaventato" persino dalla propria ombra riesce a imparare a sopravvivere in quella casa maledetta, sia nel comparto artistico, riproponendo l'ambientazione della Louisiana come una delle più lucubri, sporche e malate di sempre.


Speriamo che con questo capitolo la Capcom abbia capito che questa saga ventennale può ancora terrorizzare, se sfruttata a dovere.










SPOILER





giovedì 22 ottobre 2015

Final Fantasy Type-0 HD


Fabula Nova Crystallisè progetto che doveva racchiudere una trilogia di titoli che ruotavano intorno alla stessa mitologia e cosmologia: Final Fantasy XIII, Final Fantasy Versus XIII e Final Fantasy Agito XIII.
Mentre Final Fantasy XIII si trasformava in una trilogia a parte e il Versus XIII veniva trasformato in Final Fantasy XV, Final Fantasy Agito XIII veniva rinominato Type-0. L'intenzione della Square-Enix era quella di resettare quel progetto del Fabula Nova Crystallis e rendere questi titoli autonomi e slegati l'un dall'altro.

Il Type-0 non è mai uscito dal Giappone, sino all'annuncio della versione HD per console next-gen.
La versione in questione si rivela un gioco interessante ma incompleto.
Interessante perché la storia, l'ambientazione e l'atmosfera si discostano molto dai tipici Final Fantasy sinora usciti. Morte, guerra, violenza e sofferenza sono solo alcuni dei temi che vengono affrontati in questo titolo, e non c'è censura nei filmati: il sangue e la morte vengono mostrati senza problemi. Questi elementi rendono estremamente affascinante questo gioco.

D'altro canto il gioco è nato su PSP, di conseguenza il gameplay è inevitabilmente legato alla console portatile. Le dinamiche sono semplici e ripetitive.
A livello estetico c'è una semplificazione degli spazi e dei dungeon, proprio perché all'epoca la PSP non permetteva grandi prestazioni in termini grafici ed estetici. La ripetitività del gameplay è uno dei problemi che rovina parecchio il titolo e la povertà grafica e delle ambientazioni è un elemento molto rilevante. Inoltre, il modo in cui è stato rimasterizzato è grossolano e insufficientemente interessante: c'è una discrepanza importante tra le cut-scenes e la grafica di gioco.
Il sistema di combattimento è dinamico e divertente. Poter utilizzare 14 personaggi, ognuno con le proprie abilità, armi e stile di combattimento, rende l'esperienza di gioco piacevole e strategica.
Il problema principale di questo capitolo della saga di Final Fantasy è la trama incompleta. Il gioco nasce per essere rigiocato più volte, così da poter comporre il puzzle narrativo. Terminato la prima volta, il giocatore si trova a dover affrontare una marea di plot holes. Giocandolo una seconda volta, completando le missioni secondarie (anche esse abbastanza ripetitive), si possono sbloccare ulteriori filmati che permettono di ricollegare i frammenti della trama e dargli un senso compiuto. Ma la maggior parte dei misteri e della mitologia del gioco si possono leggere su un menù apposito, rendendo l'esperienza narrativa alquanto disequilibrata.


In definitiva, Final Fantasy Type-0 è un titolo interessante, ma la versione HD per PS4 è un titolo non pulito e pieno di errori. In termini grafici, c'è un update solo per quanto riguarda i personaggi giocabili, gli NPC mantengono lo stile grafico della PSP. Il lavoro di rimasterizzazione è insensato e mal gestito, ma tutto questo potrebbe passare in secondo piano se ci si lasciasse coinvolgere dalla trama e da un sistema di combattimento. Ci vuole però un enorme sforzo e un enorme amore per questa saga.


domenica 7 settembre 2014

Colpa delle stelle



Prima di cominciare:
[Colpa delle stelle. La mia amica era l'unica che si è trattenuta. Il resto della sala tirava sul col naso e piagnucolava. La cosa positiva di questi film è che il silenzio è assicurato durante la proiezione: le ragazze sono peggio del nazismo quando devono vedere film dove vogliono piangere, sono disposti a soffocare i maschietti appena aprono bocca.. (ammetto che la mia intenzione era quella di frignare come una scolaretta, ma ero concentrato a non pisciarmi addosso)]

Nel panorama del teen romance si è affermato un sottogenere abbastanza particolare, il teenager cancer romance, dove ragazzi alla fine della loro vita vivono le loro prime storie d’amore. Colpa delle stelle rientra in questo genere e che, con molta delicatezza ma intelligenza, con immagini raffinate e uno stile narrativo maturo, tocca tematiche complicate senza cadere nella sdolcinatezza troppo elevata.
Hazel Grace è una ragazza di 17 anni malata di cancro, disillusa dalla vita, coraggiosa rispetto alla sua malattia ma al tempo stesso incredibilmente stanca e sola, nel suo mondo che sta per finire. Incontra in un gruppo di sostegno Augustus, ragazzo dal sorriso ingenuo e pieni di energie che trasmette alla ragazza una voglia di vivere che non era mai riuscita a provare.
Apparentemente il film sembra raccontare la classica storia d’amore tra teenager, fatta di primi sguardi innamorati, di baci innocenti e di un colpo di fulmine con di sottofondo musica pop per adolescenti. Tutti gli elementi “teen” vengono diluiti in una soluzione narrativa efficace, al limite tra la commedia e il dramma, tra l’ironia e la tragedia, senza mai cadere in una narrazione semplicistica.
Parlare di cancro, soprattutto in un contesto giovanile, è difficile: il regista Josh Boone ha adattato l’omonimo libro in maniera fedele, trasmettendo sensazioni ed emozioni in uno stile cinematografico immediato. Raccontare di ragazzi che convivono con la consapevolezza della morte è stato fatto con estremo giudizio. Le immagini parlano più delle parole, come ad esempio la bombola d’ossigeno di Hazel che la accompagna da tutta la vita. Queste immagini non creano pietà o un senso di compassione. Lo spettatore riesce ad entrare in contatto con i protagonisti, in una sorta di legame empatico che non cade mai nella lacrima facile. Il senso di rispetto che si prova è forse il risultato più interessante che si può notare durante il film. L’empatia è il risultato della raffinata intelligenza e senso di cinema che comunicano il regista e gli attori nel film, i quali (in particolare Shalaine Woodley) toccano vette di espressività e maturità attoriale davvero notevoli.

Colpa delle stelle è un “romanzo di formazione” dove la protagonista, da disillusa e cinica nei confronti del mondo, ritorna a sognare in maniera più adulta. Dopo una serie di eventi, come ad esempio l’incontro/scontro con il suo scrittore preferito (interpretato da un mostruoso Willem Dafoe) o il rapporto con i suoi genitori (tanto di cappello Laura Dern, nella parte della madre), Hazel riesce a vivere la sua storia d’amore, lasciandosi andare.
In Colpa delle stelle non si parla solo dell’amore, si parla della donna disillusa e spaventata in un corpo delicato e sofferente di una ragazzina, prigioniera di una vita che non voleva né per sé e né per i suoi genitori, i quali rappresentano l'ancora di salvezza ma anche di condanna per Hazel. La consapevolezza di far del male a coloro che ama con la sua morte è la colpa più grande che la da alle stelle. Eppure, in un mondo fatto di oscurità, la luce del primo amore sveglia dentro di sé la speranza di una vita che deve essere vissuta per quella che è. Il dolore va vissuto come parte di noi, questo insegna Colpa delle stelle.




                                        

mercoledì 9 luglio 2014

Doctor Who - The Time of the Doctor


L'era Smith è finita.
Potrebbe essere un sollievo per molti. Potrebbe essere triste per altri. Sta di fatto che quando finisce l'era di un Dottore, qualcosa si rompe dentro lo spettatore.
Io parlo da sacrilego, che non ha mai visto le stagioni classiche (rimedierò presto). Quindi ciò che scriverò lo dirò in relazione al nuovo ciclo di stagioni partite dal 2005.

The Eleventh Hour
Matt Smith si portava un grave fardello: il ricordo di David Tennant, che aveva regalato alla serie un'interpretazione inestimabile del Lord of Time. Il suo modo di recitare, di coinvolgere lo spettatore nel dolore e nella sua ricerca di un motivo di esistere nell'universo, ha reso il Doctor Who un'esperienza incredibile. Ogni episodio era bello, nel vero senso del termine. Anche le puntate filler risultavano gradevoli grazie a lui.
Matt Smith non ha avuto questa capacità di rendere bello ogni episodio. Ha fatto fatica ad entrare nei nostri cuori, ma semplicemente perché veniva dopo un dio della recitazione. Però ci siamo abituati e si è lasciato amare, lasciando dietro di sé una scia di noia e puntate terribili ma anche di momenti toccanti e narrativamente coinvolgenti e intriganti. La colpa non è solo di Matt Smith (che rimane comunque un grande attore), ma di tutta la crew di sceneggiatori e di registi dietro quegli episodi. Steven Moffat non ha spremuto realmente le doti attoriali di Matt Smith e l'assenza di Russel T. Davies si avverte enormemente.

The Silence will Fall
Con Eleven c'è sempre stata l'ombra della morte. Il Dottore, sin dalla quinta stagione, ha dovuto combattere contro un destino difficile, che solo nella sesta stagione si è fatto chiaro: il Dottore morirà a Trenzalore.
Questa tematica ha reso queste stagioni molto più dark, facendo salire la tensione con l'avvicinarsi della "dodicesima ora".
Gli archi narrativi della Pandorica (quinta stagione) e del "The Silence" (sesta satagione) vengono velocemente risolti nell'ultimo speciale di natale, The Time of the Doctor.
Il problema è uno solo: Steven Moffat e gli sceneggiatori hanno allungato il brodo per ben 3 stagione, solo per portare a compimento una profezia che annunciava la morte del Dottore.
Tutto ciò che è successo in quelle puntate viene risolto in un episodio che sarebbe dovuto durare molto di più, a mio avviso. Anche perché, proprio per via di ciò che succede su Trenzalore, proprio perché su quel pianeta ci sarebbe stata la tomba del Dottore, e proprio perché alcuni dei personaggi più belli di questa nuova era Smith (Amy Pond e River Song) vengono coinvolti nella serie di eventi in questione che questo episodio doveva essere più incredibile, più forte e più determinante per la fine di Matt Smith.

The Girl Who Waited and The Woman Who Killed the Doctor
Con Ten, le companion risultavano forti, determinate, interessanti e coinvolgenti, ma Tennant splendeva sempre e comunque affianco a loro. Con Eleven, la forza delle companion risulta più avvincente rispetto al Dottore.
Amelia Pond, "the first face that face saw", è stata una delle companion che ha dato nuova linfa all'era Smith. Grazie a lei, non ci si annoiava mai (tranne che per Rory, un personaggio inutile e ingombrante).
La vera star dell'era Smith è di sicuro River Song, la moglie del Dottore, "the woman who killed the doctor". Al di là dei risvolti piuttosto inquietanti da soap opera (River la figlia di Amy), questi due personaggi sono riusciti ad entrare nei nostri cuori. Eppure i loro addii sono stati piuttosto "sbrigativi"
Amelia viene silurata nel giro di pochi minuti in un'epoca in cui il Dottore non può approdare poiché avverrebbe un paradosso temporale.
River viene salutata da Eleven e dai telespettatori in un commovente addio, ma comunque il suo personaggio poteva essere sfruttato e poteva coinvolgere ancor di più. Pochi sono gli episodi in cui le compare, e tante erano le aspettative create su di lei.



The impossible girl
Clara Oswin Oswald è colei che viene subito dopo la ginger più famosa dell'era Smith. Il suo personaggio è stato utilizzato molto bene. Con il suo arrivo, il Dottore ha ripreso le redini del TARDIS tornando in quel pianeta che per quasi 3 stagioni non veniva mai citato: Gallifrey. Clara è un espediente che ha riportato il Dottore ai tempi della Time War tra i Time Lord e i Dalek (The Day of the Doctor).
Unendo la profezia di Trenzalore con la nuova companion, è stato creato un arco narrativo e episodio pazzesco (The Name of the Doctor), che ha risolto il mistero principale della settima stagione: chi è Clara Oswald?
Lei è una semplice ragazza, che si è ritrovata nel vortice del tempo del Dottore. Lei lo ha voluto salvare da una minaccia tornata dal passato (The Great Intelligence), e ha deciso di buttarsi nella "time stream" del Dottore per poterlo salvare in ogni punto del tempo e dello spazio. Per questo lei è morta due volte difronte agli occhi del Dottore, provando a salvarlo.
Con Clara c'è stato il pretesto di far rivedere le rigenerazioni passate, proprio perché lei ha visto le 11 facce del Dottore. Un'espediente narrativo interessante, che ha reso questo personaggio incredibilmente affascinante e la "ultimate companion" che creava un legame tra il passato, il presente e il futuro del Dottore.
Con Clara c'è stato il pretesto di raccontare una storia incredibile e che ha portato nuovi risvolti nell'universo del Doctor Who: John Hurt, "TheWar Doctor".

The Day of the Doctor
Il finale di The Name of the Doctor ha portato non pochi problemi: John Hurt e la rigenerazione mancante. Lui rappresenta la vera "nona" rigenerazione, quella che viene subito dopo Paul McGann. Lui è il Dottore rinnegato, colui che è stato dimenticato dai Dottori successivi poiché ha rappresentato l'era oscura, il genocida della propria razza.
Peccato che alla fine si risolve tutto con sorrisi e lieti fini: in realtà War Doctor, con l'interevento di Ten e Eleven, non ha mai sterminato la sua razza, ma ha congelato il pianeta in un universo sacca, dove risulta in una stasi temporale/spaziale.
Questo twisted plot ha ridisegnato il volto del Dottore e ha buttato via tutto il dolore e la tristezza che Nine e Ten avevano portato con sé durante le loro stagioni. Il Dottore non ha nulla di cui rimproverarsi, lui è un salvatore non uno sterminatore.
Il Dottore era affascinante proprio perché nel suo passato nascondeva la morte della propria razza e questo lo rendeva uno dei personaggi seriali più belli della storia. In lui c'era un volto nascosto, pericoloso e oscuro, che rendeva i suoi viaggi una lotta continua contro il suo passato.



The End
L'addio di Matt Smith è stato molto commovente. Il suo discorso non era inerente alla storia, era scritto di suo pugno. Un atto "metateatrale" che ha salutato i suoi fan e il personaggio di Eleven con un degno gesto di commiato. Il momento più coinvolgente è quando compare Amy. Quel momento è stato straziante, e ha salutato degnamente anche Amelia Pond e ciò che ha rappresentato per il Dottore in quest'era: il primo nuovo viso di una nuova (ormai finita) fantastica storia.
Addio Matt Smith, sei stato un grande Dottore. Ci mancherai.








sabato 28 giugno 2014

Child of Light


Child of Light racconta di Aurora e di Lemuria, una terra incantata che è stata invasa dall’oscurità. La protagonista si trova improvvisamente in questo regno perduto a dover combattere contro la Regina Nera, che ha rubato il Sole, la Luna e le Stelle. La bambina di luce, principessa del regno di Austria, impugnerà una spada incantata e con l’aiuto di Igniculus, una creatura fatta di pura luce e di altri compagni di viaggio che si uniranno a lei, affronterà le tenebre e troverà la verità.


Child of Light è una poesia videoludica. A suon di rime baciate e alternate, questo titolo Ubisoft incanta con il suo stile grafico e con la sua storia, tanto semplice quanto emozionante. Una favola non per tutti, poiché siamo abituati a vivere esperienze videoludiche fin troppo pompate dal punto di vista grafico, narrativo e soprattutto cinematografico.
Child of Light ha un’estetica meravigliosa, uno stile grafico 2D a scorrimento laterale che si immerge in disegni, colori e sfumature che lasciano a bocca aperta. Se si dovesse riassumere questo videogame, “fanciullesco” sarebbe forse il termine adatto.
La storia viene raccontata attraverso filmati dove dei disegni dinamici rivela antefatti o riassume i fatti più importanti. Poi ci sono momenti dove i personaggi parlano tra di loro attraverso delle vignette in puro stile rpg.


Il gameplay unisce elementi platform ed componenti gdr giapponesi, tra cui combattimenti a turni, alberi di abilità e oggetti che potenziano le statistiche dei personaggi. Sul campo di battaglia si schierano insieme ad Aurora i suoi compagni, ognuno con particolari attacchi che permettono variopinte strategie. Con l’analogico destro si può controllare Igniculus, personaggio essenziale per permettere un capovolgimento delle battaglie. I combattimenti sono dinamici, mai noiosi, caratterizzati da nemici che danno filo da torcere al giocatore se non si attua una tattica di combattimento idonea alla situazione.


Le musiche sono forse la parte più bella di questo titolo; la theme principale viene riarrangiata in mille sfumature; la theme dei combattimenti si “evolve” con la storia; infine le ambientazioni sono caratterizzate da melodie che coinvolgono il giocatore in un’esperienza di gioco infinitamente superiore rispetto all’offerta del panorama videoludico odierno.

Child of Light è un esperimento della Ubisoft che lascia senza fiato. La particolarità di questo titolo non sta nel chara-design, nelle ambientazioni o nella storia, ma nella combinazione di tutti questi elementi ed altri che si vanno a unire in un’armonia di colori e melodie che emozionano come quando leggevamo una favola da bambini. Aurora è una bambina di luce, e seguire la sua crescita all’interno di Lemuria vale più di mille avventure videoludiche “vuote” di questa ultima generazione di console.

Informazioni aristiche
- Musica composta da Cirque du Soleil Media e la Coeur de Pirate, con il supporto della Bratislava Symphony Orchestra









martedì 1 aprile 2014

Bravely Default

Il 3DS ha avuto sin dall’inizio un enorme deficit per chi è cresciuto a pane e JRPG. L’assenza di un Final Fantasy.
C’è Final Fantasy Theatrythm ma non è la stessa cosa. Per chi è cresciuto con i chocobo, è innegabile che ogni volta che compra una nuova console inconsciamente lo fa per giocare un nuovo Final Fantasy.
Dopo anni di attesa, arriva sulla console Nintendo Bravely Default. Non è un Final Fantasy, ma può essere considerato uno spin-off per varie ragioni.
La prima ragione è che la software house che ha sviluppato BD è Silocon Studio, mentre la produzione e la pubblicazione è della Square-Enix. Un altro motivo per cui è uno spin-off è perché è considerato un sequel spirituale di Final Fantasy The 4 Heroes of Light, titolo per DS che prendeva elementi FF per riproporli in chiave diversa. 
D’altro canto, ci sono elementi fondamentali che collegano BD all’universo di Final Fantasy, come ad esempio il gameplay, i cristalli e la storia dei "guerrieri della luce". BD fa un salto di qualità: sebbene ci siano vari riferimenti ai primi Final Fantasy per NES e SNES (specialmente con FF5 dal punto di vista del gameplay) il buonismo di fondo, l’eccessivo e la netta differenza tra bene e male viene meno per raccontare una storia matura, intrisa di sviluppi narrativi davvero interessanti e inaspettati.
I personaggi sono caratterizzati perfettamente. I 4 protagonisti, la loro psicologia, la loro storia e la loro evoluzione è il vero fulcro narrativo di questo titolo. Ma soprattutto è loro interazione con i fatti narrati a rendere quest’avventura magica ed entusiasmante.
I colpi di scena non mancano, ma a metà gioco il titolo soffre di una sorta di monotona ripetizione (a mio avviso voluta e ricercata). I capitoli finali sono spettacolari, così come i vari indizi che abbiamo sotto gli occhi per tutto il tempo ma che diamo per scontato. 
La trama può sembrare la solita lotta tra luce e oscurità: niente di più sbagliato. Bravely Default tocca mille sfaccettature di questo tema, calcando uno spirito di narrazione dinamico e coinvolgente. Ciò che stupisce di BD è come la narrazione sia massiccia e al tempo stesso non ingombrante, così come il gameplay. La maggior parte della storia si dirama attraverso le parti parlate, che potrebbero risultare a volte molto lunghe e a volte persino inutili.
Bravely Default è un rpg a turni, dove è possibile caratterizzare i personaggi con una ventina di classi che per la maggior parte provengono dalla mitologia di Final Fantasy. La reale innovazione di BD è nella possibilità di creare combinazioni di abilità tra le classi, creando molte strategie di combattimento. Un altro elemento fondamentale è la possibilità di utilizzare Brave (bruciare subito i turni a disposizione) o Default (accumulare turni e difesa, non attaccando). Queste dinamiche rendono l’esperienza di gioco molto profonda e strategica. Se non si impara a dosare bene i vari elementi a propria disposizione, si rischia di morire persino col mostro più debole.
Le classi, rimando al mondo di Final Fantasy, in particolare al III e al V, sono l'elemento più divertente del gioco. A parte l'aspetto e il design davvero ben ricercato, particolare e originale (vengono svecchiati esteticamente alcuni ruoli come il mago bianco, l'evocatore e il monaco), le classi compongono la maggior parte dell'intrattenimento proposto dal titolo, per via delle molteplici combinazioni che si possono effettuare tra di esse, attraverso le abilità attive e passive.
Un elemento da omaggiare è la musica. Magistralmente composte da REVO, le canzoni proposte in BD riescono a regalare momenti di puro coinvolgimento. Piccole chicche: il passaggio dal dì alla notte nella worldmap viene caratterizzata dal cambiamento del tema musicale; durante gli attacchi speciali, viene proposta una theme caratterizzante del personaggio e gli status positivi rimangono attivi finché c’è la musica.
Le ambientazioni sembrano meravigliosamente dipinte a mano. Lo stile grafico e il design dei personaggi è basilare ma al tempo stesso ben dettagliato. Una nota dolente sono i dungeon, piuttosto anonimi.

Bravely Default è un ritorno ai vecchi rpg, ma con un tocco innovativo. Silocon Studio ha fatto un incredibile lavoro nel modernizzare il vecchio impianto dei Final Fantasy di un tempo per spremere le capacità tecniche, artistiche e interattive della console Nintendo.






giovedì 20 marzo 2014

Final Fantasy X/X-2 HD Remaster

Se c’è una cosa che amo e odio delle nuove (ormai vecchie) generazioni di console sono le HD Collection. Le amo perché è innegabile il piacere di rigiocare ad alcuni titoli che hanno segnato la mia storia e la storia del mondo videoludico. Le odio perché è la dimostrazione lampante che il mercato videoludico non ha molto da proporre negli ultimi anni.
Un altro motivo per cui odio le versioni HD di determinati giochi è la pretesa da parte delle software house di “rovinare” alcuni aspetti del videogame che, originariamente, erano perfetti. Soprattutto dal punto di vista grafico.
Final Fantasy X della HD Remaster fa parte di tutto questo.
I visi, per l’esattezza. Hanno perso totalmente espressività. Il Restyling facciale poteva anche funzionare se avessero lasciato quel minimo di espressività che nella versione per PS2 era ottima. I personaggi hanno perso totalmente la capacità di esprimere un qualsivoglia movimento del viso, soprattutto la parte delle sopracciglia, fondamentale se si vuole dare realismo alle emozioni in questo contesto.

Così ci troviamo di fronte a una triste verita: anche la saga di Final Fantasy è stato oggetto di uno “stupro” grafico, cosa già successa con Silent Hill HD Collection. In quel caso lo stupro era avvenuto anche dal punto di vista delle voci originali, sostituite da un nuovo doppiaggio e da una pulizia grafica che aveva del tutto rovinato uno degli elementi fondamentali di questa saga, ossia la nebbia. Per non parlare dei bug..

Nel complesso, la versione HD per PS3 e PSVITA di Final Fantasy X è discreta sebbene ci sia la questione del lifting che non riesco a digerire. Le ambientazioni e i vari effetti grafici sono stati notevolmente migliorati. Per non parlare di alcuni elementi ambientali come l’acqua, che è incredibile per quanto sia realistica.
Per quanto riguarda le musiche, le nuove versioni sono piacevoli da ascoltare, sebbene ci siano troppi effetti sonori e strumentazioni che a volte creano una cacofonia piuttosto evidente.

Rimane il fatto che non comprendo la mossa della Square-Enix di sconvolgere totalmente i protagonisti con questo lifting che ha causato a Yuna un aumento degli zigomi e un inquietante ingrandimento degli occhi.. 






mercoledì 5 marzo 2014

Lightning Returns - Final Fantasy XIII



Quando venne presentato nel 2006 il progetto Fabula Nova Crystallis, Final Fantasy XIII doveva far parte di una trilogia che comprendeva il Versus XIII (che è diventato Final Fantasy XV) e Agito XIII (Type-0) e che coinvolgeva uno stesso universo narrativo che girava intorno alla figura dei Fal’cie e di Etro.

Dopo mille cambiamenti e un’attesa piuttosto snervante, Final Fantasy XIII adesso comprende una trilogia a parte che racconta le gesta di Lightning contro il volere degli dei.
Final Fantasy XIII è stato oggetto di critiche più disparate: c’è chi osanna la narrazione e la costruzione dei personaggi, e c’è chi critica aspramente un gameplay piuttosto lineare. Il problema di queste critiche è che hanno un comun denominatore: paragonare costantemente i nuovi capitoli di FF a quelli vecchi. Il fatto principale che porta a giudizi negativi è la nostalgia. Di conseguenza tutto ciò che è nuovo non viene visto in relazione ai tempi moderni, ma in relazione alla volontà di voler riprovare le stesse emozioni di un tempo. Ma più si vuole provare determinate emozioni e meno si provano emozioni nuove ed esperienze positive. Final Fantasy XIII, per quanti aspetti negativi abbia, rimane uno dei titoli più interessanti di questa nuova (ormai vecchia) generazione di console.
Final Fantasy XIII-2 può essere considerato come un vero e proprio spin-off, poiché il capitolo precedente non ha linee narrative interrotte o questioni irrisolte (sebbene gran parte della mitologia dietro la storia non è mai stata realmente approfondita). Con FFXIII-2, la Square Enix prende in mano gran parte delle critiche mosse verso FFXIII e le risolve, creando un gameplay più articolato, esplorazione delle ambientazioni a discapito della grafica e della narrazione, frammentaria e non più lineare come nel precedente capitolo.
Lightning Returns Final Fantasy XIII cambia totalmente le carte in tavola, partendo dal titolo stesso. L’assenza di Amano, sinceramente, mi ha davvero dispiaciuto.
Per quanto riguarda le dinamiche di gameplay, LR prende elementi basici dei Final Fantasy e li trasforma in chiave action, avvicinandosi agli RPG occidentali dove la libera esplorazione ne fa da padrona.
La grafica è sottotono rispetto ai capitoli precedenti, ma la giocabilità è dinamica, coinvolgente e di ampio respiro. I combattimenti sono estremamente difficili se si affrontano superficialmente. Essere strateghi è un’esigenza di base se si vuole giocare a questo capitolo, trasformandolo in un titolo quasi hardcore. Non è un videogame per casual gamer, questo è poco ma sicuro.
La storia è parecchio frammentata, proprio perché è il giocatore a decidere il tipo di approccio e l’ordine con cui affrontare le missioni principali.
L’approccio che si adotta durante il gaming è molto personalizzabile per via degli Assetti che Light può assumere durante il combattimento. I “vestiti” che può indossare sono tantissimi, così come sono tantissime le combinazioni che si possono effettuare tra gli Assetti, le abilità, gli accessori e l’estetica (potendo utilizzare gli ornamenti e la personalizzazione del colore degli abiti). Le strategie di combattimento sono pressoché infinite. Questo elemento di personalizzazione rende l’esperienza di gioco estremamente variabile e flessibile rispetto alle esigenze giocatore.
Il fattore tempo, inizialmente, può risultare una spina nel fianco. Crea una situazione di stress non indifferente, soprattutto rispetto alla mole di missioni da fare in un’ambientazione così vasta e imponente. Dopo aver completato le missioni principali, il tempo che si ha a disposizione diventa un elemento poco invadente rispetto alle fasi iniziali di gioco. Ci si abitua alle dinamiche del gameplay e tutto diventa più semplice, sebbene più si avanza con i giorni e più i combattimenti contro i mostri diventano più ostici.
LR rappresenta una rottura con tutti i Final Fantasy sinora conosciuti anche per un aspetto che può risultare inutile, ma che disorienta appena si inizia il titolo: i punti esperienza non si ottengono più con le battaglie ma con le missioni. Per questo l’esplorazione è un fattore determinante: senza esplorazione, senza l’interazione con gli NPC, non sono l’esperienza di gioco è a metà, ma si rischia seriamente di trovarsi in difficoltà con boss e battaglie.
Il design e lo stile grafico sono rimasti pressoché invariati rispetto ai capitoli precedenti. Però c’è da dire che c’è una ricercatezza maggiore rispetto alle ambientazioni, che risultano molto più belle e particolari. Luxerion ad esempio è una città molto bella, architettonicamente parlando.
Non si può dire lo stesso delle musiche, che sono quasi tutte riciclate dai vecchi capitoli. E le poche theme proposte sono piuttosto anonime. In XIII-2 le musiche erano magistralmente composte in maniera tale da rimanere i minuti interi nell’Historia Crux o a New Bodhum. In LR è possibile ritrovare quasi tutte le theme precedenti, ma sarebbe stato più gradito maggiore innovazione e ricercatezza.
La costruzione dei personaggi è resa molto bene. Lighning, protagonista indiscussa su cui la SE ha scomesso praticamente tutto, viene approfondita ulteriormente sia attraverso i legami con gli altri personaggi sia con sé stessa. I pensieri di Light sono alla base di questo capitolo, rendendo il personaggio molto ben caratterizzato.
La storia, nel complesso, è ben sviluppata, ma ci sono molti buchi narrativi che lasciano l’amaro in bocca. Eppure, proprio perché gli elementi del gameplay, la caratterizzazione dei personaggi e la ricercatezza delle ambientazioni sono i pilastri fondamentali di questo titolo che molti “plot hole” vengono avvertiti ma non pesano sull’economia narrativa del gioco.

Capitolo chiude (quasi) perfettamente gli eventi di XIII-2 e la mitologia del XIII, rendendo questo capitolo fondamentale per chi avesse finito il XIII-2.
Il finale è molto interessante, e sembra collegarsi in qualche modo alle premesse di Final Fantasy XV, dove la frase “Una fantasia basata sulla realtà” è una promessa allentante per i videogiocatori, e LR finisce proprio in una realtà che tutti noi conosciamo.
Lighning Returns Final Fantasy XIII non è esente da critiche, ma personalmente l’ho trovato un capitolo più che ottimo da ogni punto di vista, a partire dal gameplay sino alla caratterizzazione dei personaggi e lo sviluppo della storia. Per chi non ha amato FFXIII, è inutile che critica questo capitolo.