venerdì 27 marzo 2009

Ponyo sulla scogliera (2008, Hayao Miyazaki)


Un piccolo pesce rosso incontra per caso Sosuke, bambino che vive su una casa in cima a una scogliera, che si affaccia sull’oceano sconfinato. Ponyo sarà il nome che darà Sosuke al piccolo pesce rosso, con il quale si istaurerà un affetto incondizionato. Figlia di una divinità marina, per raggiungere il suo amico Sosuke creerà non pochi disagi alla piccola città dove vive il bambino.
E’ un innocenza quella di Ponyo essenziale e coinvolgente, senza mezze misure e pura come l’acqua degli oceani incontaminati.

La delicatezza con cui Miyazaki disegna l’universo di Ponyo è incredibile, soprattutto perché riesce a contrastare questa delicatezza delle immagini con tematiche serie e attuali, e il messaggio morale (come in ogni favola) viene colto con particolari realistici che invadono l’immagine nitida del film, come la sporcizia che invade i fondali marini e gli anfratti tra gli scogli, l’irruenza delle navi e . Un messaggio eco- ambientalista, che mostra come l’uomo, per quanto possa avere il controllo sul mare, alla fine verrà travolto dalla sua forza incontrastabile un giorno. Tale messaggio viene incarnato dal misterioso personaggio di Fujimoto, padre di Ponyo, un tempo un essere umano ma che poi ha rinnegato la sua stessa natura per poter vivere nelle profondità degli oceani, e lavorando come bizzarro alchimista.
L’odio che prova nei confronti del genere umano è giustificato, e attende il giorno in cui gli oceani potranno ribellarsi alla tirannia dell’uomo. E quando la piccola Ponyo scapparà la prima volta per poter esplorare la superficie, Fujimoto libererà la sua magia per poterla riportare indietro, e salvarla dal pericolo della terra ferma.
La magia quindi ritorna in questo capolavoro di Miyazaki come una forza sconosciuta, misteriosa, e ancestrale , sedimentata nei miti e nelle leggende che solo i personaggi magici di MIyazaki possono detenere: Fujimoto lavora con pozioni misteriose, riesce a controllare le forze oceaniche e inquietanti creature acquatiche, mentre la piccola Ponyo ha un potere straordinario, poiché lei è figlia di una Divinità degli oceani. Un potere che però non controlla e senza rendersene conto sprigiona una potenza primordiale.
L’innocenza infantile di Ponyo e la forza della natura vengono narrati parallelamente, entrambi legati indissolubilmente dalla magnificenza dei disegni di Miyazaki, in un flusso di continua trasformazione e metamorfosi delle immagini( ad esempio le onde del mare che si trasformano i enormi pesci e viceversa )
In effetti il tema della metamorfosi è costante nelle opere di Miyazaki: in Ponyo la piccola protagonista con la sua magia si trasformerà in una bambina, e non mancheranno momenti in cui lei regredirà improvvisamente; inoltre il cambiamento è anche radicato nel carattere di Ponyo, che la spingerà a voler liberarsi dall’oppressione della sua esistenza.

Il mare occupa un ruolo importante nell’economia del film. Fa da sfondo alla tenera storia di Ponyo, ma Miyazaki non teme di rappresentare un mare oscuro e minaccioso, temibile e imprevedibile. E’ comunque il mezzo con cui il messaggio del film si fa strada.

L’infanzia viene tratteggiata con colori semplici e puri: Il personaggio di Sosuke è saggio e solare, oltre ad essere ben educato e rispettoso per l’ambiente che lo circonda; Ponyo invece è intraprendente e curiosa, da una forza straordinaria e vivace . L’amore che sboccerà tra i due è incontaminato, privo dei “rifiuti” che il mondo degli adulti lasciano negli oceani.
Il mondo degli adulti viene schiarito (anche se in Ponyo non è calcato con segni negativi) dalla dinamicità e amore di Lisa, la madre di Sosuke. L’affetto materno è un importante motore della narrazione nel film, che condurrà Ponyo e Sosuke a fare un viaggio tra le acque che solo popolate da antiche creature marine. La madre di Ponyo rimane avvolta in un mistero affascinante e mistico, e la sua aura e il suo potere spaventano persino Fujimoto.

E’ un inno all’infanzia e all’innocenza, ma anche un ammonimento.

Il film è un chiaro riferimento de “La sirenetta” di Anderson, ma comunque riletta e rielaborata sotto il personalissimo stile di Miyazaki.
inoltre è presente una bellissima scena che ricorda davvero molto le tonalità della Cavalcata delle Valchirie, con Ponyo che corre tra le onde del mare in burrasca, che nel frattempo muta aspetto in continuazione.

E’ un inno all’infanzia e all’innocenza, ma anche un ammonimento.
L’infanzia è un tema caro a Miyazaki, come baluardo di speranza e di saggezza, contro un mondo cupo popolato da “troppi” adulti.

domenica 22 marzo 2009

The Wrestler (2008, Darren Aronofky)


Randy “The Ram” non può fare altro che lottare. Il suo respiro è affannato e pesante, la sua pelle piena di cicatrici, il suo sguardo rasenta l’umiltà e la pazzia, i suoi muscoli si contraggono solo per poter soddisfare il suo pubblico, le ferite si rimarginano presto e il sangue diventa solo una routine spettacolare.
Ma quando il cuore cede per un infarto, Randy si accorge della sua presenza nel petto, che non può battere solo per il wrestling. Si accorge che l’amore del suo pubblico è lontano, ed è il nome Randy “The ram” e la sua lotta ad essere amati. Si accorge che in realtà tutto ciò che per cui aveva lottato si è rivelato vano, e il suo cuore fragile non può sopportare l’amore del suo pubblico. Cerca quindi di ritrovare l’amore di sua figlia, Stephany ( Evan Rachel Wood), ormai indipendente ma ancora profondamente ferita dall’abbandono del padre per la vita sul ring. E infine cerca un amore più personale, intimo, delicato e vero con la spogliarellista Cassidy/Pam ( Marisa Tomei). Scende a compromessi lavorando in un supermarket e tenta di rimettersi sui binari giusti la sua vita.
Il fallimento di un uomo viene mostrato con una resa documentaristica, con la mdp a spalla, creando un effetto vertiginoso e quasi nauseante, come per far sentire allo spettatore l’altezza di Mickey Rourke. La macchina da presa segue spesso di spalle Randy aka Mickey Rourke: sembra quasi che l’occhio del regista voglia indugiare e soffermarsi su un peso invisibile che le spalle ampie e possenti di Randy devono sopportare. Le riprese si alternano tra riprese quasi febbrili e nevrotiche, veloci e brevi “jump cut” e riprese lunghe , che sembrano istantanee in movimento che rivelano lo sguardo stanco e forte del protagonista che guarda la figlia.
Il rapporto padre/figlia viene esemplarmente ripresa con una forza coinvolgente e commovente, con un realismo quasi irreale e con sentimenti puri e innocenti. Randy ha abbandonato sua figlia per poter seguire la sua vita, un egoismo da cui dovrà redimersi rivestendo il ruolo di un padre goffo e insicuro, e dovrà sforzarsi come non ha mai fatto in vita sua per potersi riappropriare dell’amore di sua figlia.
Il rapporto con Cassidy la spogliarellista delineerà la figura di questa donna come l’esatto contrario di Randy: lei non accetta il nome che gli hanno dato nello strip club, e tenta a tutti i modi di separare la vita privata da quella lavorativa; verso la fine del film lei pronuncerà con una forza d’animo straordinaria il suo vero nome, Pam, rinnegando il nome di Cassidy. Randy fa l’esatto opposto: lui non accetta di essere chiamato con il suo nome di battesimo, e vuole farsi riconoscere solo come Randy.
Marisa Tomei interpreta in maniera eccezionale la figura di una donna bellissima e innocente, con una sensibilità coinvolgente,e con una dignità da leonessa.
La trama si svolge negli anni 80 quando Randy “The Ram” Robinson ebbe un enorme successo, ma il suo professionismo andò scemando ritrovandosi a dover combattere nelle palestre dei licei e in altre piccole e anguste, davanti ai pochi fan rimasti fedeli alla carriera di “The Ram” ormai arrivata all’estremo. Con l’infarto che lo coglierà dopo un sanguinoso e rovinoso incontro, Randy scenderà a un compromesso del tutto fuori sincronia con il suo desiderio di adrenalina e di calore del ring. La vita spericolata e azzardata che perseguiva diverrà d’un tratto un’ombra che lo perseguiterà a sua volta, tentandolo costantemente, e lo spettatore non può fare altro che attendere il momento in cui lui cederà.
Darren Aronofky e il suo sguardo si posa sempre sul fallimento, sulla degradazione e umiliazione del corpo e dello spirito( esempio lampante che mi viene in mente è Requiem for a dream). Non si fa scrupoli a mostrare un uomo come un pezzo di carne da macello e le gesta disperate di personaggi al limite della propria vita.
Sebbene The Wrestler mostri uno squarcio di una realtà come il wrestling e di un America che vive a scapito della propria dignità, è anche metafora delle passioni che mantengono vivo un cuore di un uomo.
La passione di Randy per il suo wrestling non può non essere a rapportato a chiunque.
Davanti alla negazione della propria vita, come si reagirebbe? Domanda priva di una apparente risposta che il film porta invisibile come sottotitolo.
Il discorso finale di Randy spiega per filo e per segno le sensazioni e le emozioni che ha provato nel non poter combattere: lui non ha un posto nel mondo, e anzi, il mondo lo rinnega, e lui non può fare altro che gettarsi nella sua passione e unica ragione di vita, poiché è solo quello che è capace di fare. Chiunque può riflettersi nel personaggio di Randy, interpretato magistralmente da un Mickey Rourke rinato, finalmente redento da una vita fin troppo simile al personaggio che ha interpretato in The Wrestler. E’ un film che appartiene a Mickey Rourke, ed è un omaggio a tutti quelli che non posso fare a meno di lottare per le proprie ambizioni.

Omaggio agli anni 80, che vengono costantemente rievocati attraverso citazioni musicali.

venerdì 20 marzo 2009

Nemico Pubblico n.1-Istinto di morte ( Jean-Francois Richet, 2009)


Primo di due film, tratti dalle due autobiografie di Jaques Mesrine, L’istinct de Mort (Istinto di morte) presenta un personaggio impossibile da definire con un solo aggettivo e dalle mille sfaccettature che durante gli anni 70 venne nominato Nemico Pubblico n.1.
Film controverso, di una fortunata e eccellente produzione francese, tenta di allinearsi dietro il filone del genere cinematografico che tenta di interrogarsi sull’operato della criminalità, mostrando un mondo inquietante e pericoloso, dove la morte è una costante inevitabile, raccontando senza mezze misure alcune delle personalità della malavita che più hanno scosso la nostra società.
Il film inizia con la fine di tutto: attraverso un bellissimo gioco di inquadrature mostranti gli ultimi attimi di vita di Jacques, inizia una narrazione frammentaria e frammentata.
Dal ritorno dalla guerra di Algeria, Jacques Mesrine si ritrova a dover vivere a casa dei suoi genitori. Il suo ritorno segna l’ avvio della sua lunga e tortuosa discesa verso il mondo della malvivenza, guidato dalla figura quasi paterna di Claudio, spietato boss mafioso e mentore ( Gerard Depardieu ).
Dalla sua iniziale posizione duale, nella quale era diviso tra vita criminale con “i suoi amici” e la vita familiare( una moglie spagnola e tre figli), a una totale immersione nel vortice della malavita e quindi a una impossibilità di salvarsi da se stesso, passaggio segnato dall’infatuazione verso Jeanne ( Cecile De France), Jacques sarà tormentato dalla volontà di agire, di muoversi, di non fermarsi, e questo lo condurrà a toccare numerose zone del mondo, dall’Algeria alla Spagna al Canada, e così via.
Film violento, forte, non si fa scrupoli a mostrare una criminalità che non si giustifica, semplicemente perché essa non guarda in faccia al bene o il male, ma semplicemente al profitto che guadagna.
La vita di Jacques è una lunga serie di atti criminosi, dai quali non è certo spaventato. Inizialmente si sente dal ritorno dalla guerra debole, indefinito e sfocato, ma riesce a trovare una forma in quello stile di vita. Forte e sicuro, non guarda in faccia a nessuno, e segue il suo stile di vita basandosi sulle sue regole e sulla sua “morale”.
Riprendendo il concetto precedente di Frammentarietà, il film non mostra un fluire uniforme della vita di Jacques, ma evidenzia con un efferatezza (tecnicamente a volte una telecamera a mano i punti )salienti e basilari, facendo salti temporali di anni, per poter costruire con una sorta di indagine documentaria la figura di Jacques.
Jacques Mesrine ha uno strano rapporto con i Media ( che però nel film non viene molto delineato molto bene), e cerca una notorietà che possa segnare la sua presenza nella società, senza pensare alle conseguenze. Titoli di giornali dell’epoca compariranno durante alcune sequenze per evidenziare il disordine che lui ha creato, testimonianze delle difficoltà delle forze dell’ordine di contenere la sua forza e la sua astuzia, e anche della paura che si diffondeva.
Vincent Cassel adempie alla perfezione nel suo ruolo; un ruolo crudo, grezzo, oscuro, caratterizzato da uno sguardo freddo e tagliente che nessun altri al di fuori di Vincent Cassel avrebbe potuto interpretare al meglio. Criminale e amante, marito e assassino, padre e carcerato, amico e nemico, questo è Vincent Cassel aka Jacques Mesrine.
La vita di Jacques Mesrine non viene giustificata, ma viene semplicemente illustrata, con immagini che non si fanno scrupolo di mettere in scena una crudele e tuttavia carismatica personalità . Eppure non si può fare a meno di rimanere catturati dal suo fascino. Attrae a sé lo sguardo del pubblico, lo controlla e lo obbliga a dover assistere alla sua oscurità e alla sua sete di libertà, al suo modo di amare, e al suo modo di vivere.
Sapendo come finisce, lo spettatore non può fare altro che domandarsi come si giunge alla morte del Nemico Pubblico che viene mostrata durante i titoli di testa.
Bisogna attendere la seconda parte per poter essere testimoni del definitivo raggiungimento della fama e della notorietà che tanto Jacques bramava quasi inconsciamente.

venerdì 13 marzo 2009

Gran Torino ( 2009, Clint Eastwood)

Dopo la morte della moglie, Walt Kowalski si trova a dover vivere da solo, con i due figli (e corrispettive famiglie) menefreghisti e opportunisti, lontani e assenti, anche per via del carattere burbero e distaccato di Walt.
I suoi unici affetti sono il suo cane Daisy, a cui si rivolge come se fosse l’unica persona che possa comprendere il suo modo di pensare e di cui si possa fidare; la sua casa che cura costantemente; e la sua Ford Gran Torino del ’72, intramontabile monumento di un mondo e di un’America che se ne sono andati.
Uomo fortemente cinico e spregiudicatamente razzista, dal volto pietrificato e pietrificante, nasconde un passato fatto di guerre e di orrori, da cui non riesce a redimersi, e vive nella sua esistenza tumefatta di bile che non può far altro che ingoiare poiché vede un mondo che non gli appartiene, dove la gioventù è ormai alla deriva e priva di controllo . Non si fa cura di ostentare il suo modo di pensare, e di tenere affianco il fucile che usò durante la guerra in Corea.
Duro e intollerante, si mette comodo sulla veranda a sorseggiare una birra, con Daisy al suo fianco, e guarda con occhi stanchi ma guardinghi i nuovi vicini.
I vecchi vicini col tempo si sono trasferiti altrove, sostituiti da molte comunità straniere provenienti dal sudest asiatico. Walt guarda con diffidenza razzista la nuova famiglia trasferitasi vicino casa sua.
Una notte, Walt, vedendo una luce provenire dal garage dove tiene la sua Gran Torino, coglie in flagrante un piccolo ragazzo di nome Tao, che tentava di rubare la sua macchina.
Per via di questo evento, Walt entra in contatto con la famiglia di questo ragazzo, il quale è stato mirato da una gang di strada. E qualche sera dopo Tao viene aggredito, e Walt, con il suo fedele fucile, spaventa quei ragazzi che giocano a fare gli adulti in modo pericoloso. Per questo gesto, totalmente egoista poiché “stavano sulla sua proprietà”, allaccia un rapporto con la famiglia del ragazzo.
Inizialmente la sorridente Sue (sorella di Tao) riesce un po’ a sciogliere lo sguardo di ghiaccio di Walt, facendolo entrare in contatto con una realtà culturale del tutto nuova. E un legame intenso, seppur sempre mantenendolo lontano, lo crea con lo stesso Tao.
E’ una storia che riguarda un uomo che ormai non ha nient’altro a cui appigliarsi. Nemmeno il suo passato, tanto omaggiato da lui, riesce a dargli un rifugio sicuro dal mondo. Walt non ha paura di camminare a testa alta, e non ha timore di dire la sua, soprattutto vantando frasi razziste e stereotipate Eppure ha sulle spalle una stanchezza che nasconde bene, e nel suo sguardo imperscrutabile si vede comunque come la sua vita e le esperienze che ha vissuto lo hanno segnato per sempre, donandogli una sensibilità che trasforma e dissimula in un espressione ghiacciata.
Il razzismo che contraddistingue il personaggio di Walt non è pesante, tutt’altro; nel suo sfoggiare l’ampio bagaglio di battute e nomignoli da xenofobo intollerante è divertente. Un sorriso nello spettatore compare quando Walt, con l’espressione tipicamente clinteastwoodiana ( e beh, è lui che interpreta in effetti.. ), dice “Muso giallo” o altre battute, e non perché è divertente sentire battute razziste, ma perché è spiritoso come la battuta razzista basata su uno stereotipo fisico/culturale ( e sull’ignoranza) venga ironizzata, e quindi “alleggerita”.
Nel film viene mostrata però una realtà cruenta e feroce, quella di chi è soggetto a violenze e a soprusi di gang di strada, e che non riesce a trovare un posto nel mondo; ed è Tao (e anche Sue) ad esserne il portavoce. Inoltre anche il problema dell’integrazione culturale del “diverso” è visibile nella tessitura del film.
Non sono semplici tematiche, e Clint Eastowood (regista) le affronta con immagini nitide e forti, sicure del messaggio che vogliono trasmettere, e sono immagini digeribili solo in parte affinché non vengano dimenticate.
La presenza della religione, simboleggiata da padre Janovich, non è stata del tutto centrata a dovere. Anzi. L’ho trovata un po’ arida nei suoi contenuti. Il personaggio di Walt è scettico nei confronti della religione, e padre Janovich cerca in tutti i modi di far confessare Walt. Questo “conflitto” non è ben disegnato, secondo me.
Parole come Vendetta e Redenzione aleggiano nell’aria del film, facendone due cardini portanti della storia, e trovando una risoluzione in un finale commovente e tiepido.
E la tematica padre/figlio viene disegnata con tratti ruvidi e spessi, però evocativi e malinconici.
E’ commovente come Clint Eastwood auto cita il suo passato, con quella posizione della mano che simula una pistola, e non dico altro.
E finisco col dire una piccola frase che ho sussurrato all’inizio film: “Ehi, mio vecchio amico”.

martedì 10 marzo 2009

THE MILLIONAIRE (2008, Danny Boyle)


Jamal si trova a un passo dal premio finale del programma televisivo“Chi vuol essere milionario”, ma viene ingiustamente accusato di imbroglio e costretto a subire vari interrogatori, durante dovrà difendersi da tali calunnie. Attraverso questo espediente che ci verrà narrata l’intera vita di Jamal.
Il film si giostra su questo parallelismo passato e presente, rappresentato dalla vita mediatica all’interno del quiz: infatti ogni risposta che Jamal darà durante il quiz sarà direttamente collegata a una esperienza della sua vita. Attraverso questo gioco di specchi, grazie anche all’uso di flashback e montaggi alternati dinamici e utili per approfondire l’introspezione emotiva del protagonista e degli altri personaggi, viene narrata la storia di un ragazzo che è stato obbligato a crescere nelle slum di un India priva di scrupoli, degradata e fatiscente (e soprattutto poco “vista” da noi occidentali), dove insieme a suo fratello Salim si adeguerà alle regole di sopravvivenza imposte, mantenendo comunque una forma di purezza incontaminata, a differenza del fratello che verrà totalmente inghiottito dalle leggi violente di quel mondo ostile. Nella vita di Jamal ci sarà una costante: la bella Latika, la quale anche lei verrà sottomessa alle stesse regole. Sarà l’amore a spingere Jamil ad andare al quiz, affinché lei lo possa vedere.
Ciò porterà a una rivalsa mediatica non solo del protagonista ma di tutta la classe sociale della bassa India da lui rappresentato. Nel film la televisione diventa un punto di ritrovo , di coesione, di riunione, cosa che tutti noi ben conosciamo.
Danny Boyle porta sullo schermo immagini crude e commoventi, romantiche e violente. La vita di Jamil è la rappresentanza di un mondo che non vediamo, ed è anche una critica ai paesi occidentali che ignorano del tutto quei disagi sociali ed economici, e i vari problemi tra i quali la criminalità e la negazione dell’infanzia. Durante il film queste problematiche vengono affrontate in maniera semplice, ma non semplicisticamente, con un tocco di ironia, e non per sminuirle ma per renderle commestibili e comprensibili agli occhi dello spettatore.
Ritornando al gioco di specchi e di echi “mediatici” e “psicologici”, la narrazione viene attraversata da diversi piani narrativi, tutti caratterizzati da una successione di schermi mentali e anche televisivi, passando dall’immagine reale a quella mentale del protagonista attraverso l’immersione nello schermo televisivo nel nella quale avvengono le immagini del quiz, del ”Jamal” televisivo.
Il montaggio finale è costruito egregiamente, ma così come tutto il film si basa su una struttura di montaggio avvincente.
La fotografia è evocativa, e affascinante.
Naturalmente questo film è anche un omaggio al cinema di Bollywood, non seconda a nessuno, e anzi detentrice di generi unici, forse troppo snobbati dal cinema occidentale.
Se vogliamo estrapolare da questo capolavoro un messaggio allora è possibile dire che le risposte alle domande della nostra vita vanno trovate nel nostro passato. Un passato che determina già il futuro, "Scrivendolo" secondo una grammatica che rimane incomprensibile a chiunque.

Però mi domando: meritava davvero 8 oscar?

lunedì 9 marzo 2009

THE READER ( 2008, Stephen Daldry)


Adattamento del romanzo di Bernard Schlink, (Hanna Schimtz) anche stavolta Kate Winslet ammalia tutti con la sua interpretazione, riuscendo a commuovere persino nei panni di una donna da un passato gravoso e imperdonabile, dal viso segnato dalle intemperie del tempo e dei sensi colpa, che tenta di espiare intraprendendo una relazione con un giovane e immaturo ragazzo, Michael Berg ( da giovane interpretato da David Kross, e da adulto da Ralph Fiennes)
L’intera storia si svolge attraverso dei flashback di Michael, avvocato esperto con un matrimonio finito alle spalle e una figlia ormai adolescente.
La trama dei due amanti inizia in un giorno di pioggia, durante il quale Michael avverte seri malori che lo costringono a fermarsi sotto un porticato. Qui incontra una donna ormai sui 40 anni, che lo aiuta a riprendersi e lo accompagna a casa. Da un banale incontro nascerà una storia d’amore inizialmente carnale, e in seguito pieno di dolcezza, eppure inquietante, e non per via del gap d’età dei due protagonisti, ma da un’ “Usanza” che lei “impone” al suo giovane partner , ossia di leggere per lei. Tale caratteristica, che è anche il tema centrale del film, verrà in seguito giustificata, e usata in maniera del tutto inaspettata nel racconto.
Il divario d’età che divide i due, una promozione di lavoro di Hanna e la necessità da parte di Michael di frequentare il proprio mondo, porteranno i due amanti a separarsi, apparentemente lasciando dietro il mistero del passato di Hanna, cicatrici indelebili che emergevano attraverso una sensibilità fragile e fuggevole, che tentava di mascherare con una durezza e la determinazione.
Michael inizierà a studiare legge.
Per puro caso, attraverso un corso istituito nell’università, seguirà un processo contro i crimini di guerra avvenuti durante il nazismo. E lì, dalla platea, rincontrerà Hanna, imputata nell’uccisione di 300 ebrei. Distrutto dalla rivelazione, non potrà fare altro che domandarsi su come sia possibile cercare una giustificazione per l’avvenuto, e tentare di comprendere le motivazioni di Hanna, che attraverso un’ ingenuità del tutto priva di colpe, si giustificherà davanti alla giuria e commetterà l’errore di preservare la sua dignità e orgoglio, che la porterà inevitabilmente a scontare la pena, e non a dichiarare il suo segreto, che nasconderà, ossia il fatto di essere analfabeta.
La storia procede lenta, e si dipana attraverso l’adolescenza e maturità e la presa di coscienza di responsabilità di determinate azioni.
La tragedia dell’olocausto sembra fare da sfondo, e non è invadente fortunatamente. Viene “sfiorato”, ma a livello tematico apre questioni che forse non sono state prese in considerazione, ossia comprendere la scelta individuale, soggettiva e personale di chi è stato protagonista di un crimine così disumano e incomprensibile come l’olocausto. E soprattutto vengono posta la seguente domanda: è giusto salvare chi si porta dentro una colpa del genere, avendo la possibilità di farlo? Il gesto finale di Hanna sarà un tentativo di redenzione, dopo aver passato una vita nella totale convinzione delle sue azioni, e anche Michael tenterà di sopprimere i sensi di colpa di una scelta che coinvolgerà direttamente la sentenza di Hanna.
Interessante l’uso simbolico dell’elemento dell’acqua. Sin dal primo incontro dei due amanti, l’acqua è costante, come mezzo di purificazione dal passato. Durante una scena, Hanna laverà con dedizione quasi ossessiva Michael, come se in lui avesse proiettato il suo torbido passato. La stessa relazione che Hanna intraprenderà con il giovane ragazzo non sarà altro che una specie di reminescenza, un eco del passato, che verrà spiegato durante il film.
Pecca del film è forse il grottesco trucco della Winslet anziana. Ma la sua interpretazione le ha fatto vincere un oscar, il che dice tutto.

domenica 8 marzo 2009

Watchmen (2009, Zack Snyder)

Durante la sua terza presidenza, Nixon fa entrare in vigore una legge anti-Watchmen.
È il 1985 e viene ritrovato il corpo di Edward Morgan Blake, aka il Comico, membro della squadra di Watchmen. Rorschach inizia temere che dietro ci sia qualcuno che vuole sterminare tutti gli Watchmen rimasti. Come sfondo a questa trama dipinta di thriller, c’è un imminente minaccia nucleare, che potrebbe portare al Giorno del Giudizio finale.
Detta così la trama sembra superficiale, che è ciò di più sbagliato si possa pensare riguardo questo film. In un mondo alternativo dove i super eroi sono ( o erano) riconosciuti come preservatori della giustizia, e dove la storia politica del mondo prende segue le vicende ( o quasi) del “nostro” mondo, lo spettatore si troverà catapultato in un ambientazione degradata, dove le influenze del noir con i suoi toni cupi rendono le atmosfera urbana qualcosa di pericoloso, corrotto, e insalvabile.
La sequenza iniziale ci conduce direttamente nell’azione, e in seguito i titoli d’apertura, mostrano con rapide occhiate come gira “quel” mondo tanto simile al nostro, presentando come in fotografie, le tappe più importanti della storia del 900.
Ci verranno presentati, con una narrazione lenta ma mai noiosa, gli Watchmen, i quali ci verranno mostrati in un’umanità straordinaria, deboli e disillusi. Ognuno di loro si è distaccato dalla possibilità di salvare l’umanità.
Ma con il pericolo incombente di una catastrofe nucleare, dovuta a una (per niente irrealistica) situazione politica tra Russia e Stati Uniti, e con la morte del Comico, gli Watchmen si renderanno conto che qualcosa deve essere salvato
Questi eroi non hanno poteri particolari, solo una straordinaria forza e resistenza fisica. Solo Dr. Manhattan ha una straordinaria abilità di piegare la materia e lo spazio a suo piacimento. È un personaggio singolare, paragonato a un Dio per via delle sue capacità, che ha però perso totalmente la sua umanità, e si è totalmente astratto dal mondo umano.
Sono persone comuni, che hanno sentito la chiamata a percorrere la via dell’eroe. Ognuno di loro cercherà di redimere il mondo dalla corruzione che l’attraversa, ma prima dovranno capire il loro ruolo e posto all’interno del mondo stesso.
è un film Per niente scontato, caratterizzato da tematiche coinvolgenti come la lieve linea che separa la giustizia dalla follia, la vendetta dalla redenzione, l’umanità dalla mostruosità, il sacrificabile dal sacrificio, e soprattutto cosa è sacrificabile per preservare la pace. Inoltre tutto il film è percorso da una sottile linea critica nei confronti della politica.
In un flusso diegetico dinamizzato da numerosi flashback che riveleranno il passato degli Watchmen, lo spettatore potrà godere del totale controllo ed equilibrio di una trama ben caratterizzata, riuscendo a far emergere a pieno la storia personale di ogni Watchman, e un di montaggio, di una fotografia e di un uso di effetti speciali affascinanti e spettacolari, non straboccando mai nell’auto compiacimento o in un ridicolo senso estetico.
La domanda che sorge nel vedere il film è la seguente : è possibile salvare l’umanità? E se si, qual è il sacrificio necessario per farlo? E c’è un prezzo e un limite?
Non è il solito film di super eroi, questo è sicuro. In questo film tutti loro sono afflitti da conflitti interiori, dai fantasmi del passato, da un umanità invadente che non permette loro di poter fare a meno di essere super eroi, ma di domandarsi se è possibile continuare il mestiere della maschera.
La maschera che portano non è solo una caratteristica estetica, ma è un marchio indelebile, che non solo porta a dover percorrere la via dell’eroe, ma che è l’unica faccia che rimane a loro per sopravvivere nel mondo, perché senza la quale rimarrebbero inerti a guardare il disordine e il caos, e a farne parte senza poter agire.

Colonna sonora impeccabile, composta da canzoni del decennio nel quale è ambientato il film. La narrazione segue ciò che ha scritto Rorschach sul suo diario, ma viene affidata anche ad altri personaggi, soprattutto quando c’è una sequenza di flashback riguardanti il passato di uno di loro.

La figura del comico è la figura chiave che spiega la morale dell’intera opera filmica: “l’anti eroe” per eccellenza, il primo ad accorgersi del marciume del mondo, a disilludersi del fatto che è impossibile salvarlo, poiché il male è l’umanità stessa. Dr Manatthan invece è l’unico Watchmen con un potere che lo priverà del tutto della sua umanità: per via di un tragico incidente diverrà un super uomo con abilità straordinarie. Il suo unico appiglio alla sua umanità è Spettro di seta, la quale è combattuta tra il mantenere una relazione singolare con il Dr. Manhattan, e che segue le orme della madre che apparteneva alla vecchia generazione di Watchmen. Gufo notturno invece è il tipico super eroe con occhiali da montatura alla superman, e sarà il primo a ribellarsi alla condizione di eroe esiliato, tentando di poter redimere il mondo, comunque portando con se insicurezze e “impotenze” del tutto normali e elementi costanti nella vita di ognuno. Rorshalc rappresenta invece l’eccesso della giustizia, che sfocia in una giustizia di cui si appropria e ne fa una giustizia personale, una punizione che vuole infierire all’umanità e a se stesso. E infine Ozymandias, ambiguo magnate di una azienda di giocattoli, dietro la quale tenta di nascondere la sua vocazione della maschera, ma che tenterà di raggiungere i suoi scopi attraverso un atto estremo.

In definitiva, The Watchmen è un film grandioso, pieno di enfasi, e tutti i personaggi sono contornati da un’aura di mistica malinconia.

Considerazione = La maschera di Rorschach simboleggia a pieno la relativa interpretazione della realtà, e come ognuno di loro la affronta in una determinata maniera.