Esistono videogame che basano la loro forza sulla
trama, sulla grafica, sul gameplay, sull’atmosfera oppure sulla combinazione di questi e altri elementi. Poi ci sono che ti catapultano in una sorta di dimensione parallela, dove qualsiasi regola videoludica si riduce in un semplice movimento, in un salto, in un fascio di luce o in una penombra perenne. Limbo è questo, un’esperienza che coinvolge la mente in qualcosa di ancestrale, mostruoso, in una una favola dark che racconta il semplice gesto di salvare qualcuno.
Tra ragni giganti, bambini assassini, marchingegni ed enigmi ambientali, Limbo si districa nella pura formula del genere plat-form, per cui i movimenti sono limitati a gesti basilari come quello di andare avanti e indietro, di saltare e di azionare leve. Ma il punto nevralgico di quest'esperienza indi-2D è l'atmosfera che si respira e l'adrenalina che si prova nel proseguire da checkpoint a checkpoint. Non è spiegabile in parole, ma in una sensazione: ansia.
Ad ogni gameover corrisponde una sensazione di frustrazione e angoscia dovuta non solo al fatto che gli enigmi e i nemici (abbattibili esclusivamente con la forza del cervello e dell'ingegno rispetto all'ambiente che li circonda, sempre SE sono abbattibili) sono complicati e ci vuole tempistica e tanta pazienza, ma anche alle svariate modalità di morte: trafitti, elettrificato, schiacciato, frantumato e così via. Tutto questo viene "goduto" in un silenzio interrotto da rumori ambientali quali enormi macchinari o animali di paludi. L'angoscia che si prova di fronte al corpo dilaniato del piccolo protagonista è il vero primo livello da superare in questo videogame.
L'itinerario è semplice ed efficace: dalla foresta a un ambiente urbano. Il comun denominatore rimane quel senso di sporcizia e mistero che pervade il tragitto, come se il semplice accostamento cromatico bianco e nero e con tutte le sfumatore di grigio rivelino un orrore nascosto che non può essere visto con gli occhi ma solo con la mente e con l'immaginazione. Limbo stimola letteralmente il cervello del giocatore, che va oltre il semplice 2D e bianco e nero. Vive qualcosa che non può essere razionalizzato.
L'itinerario è semplice ed efficace: dalla foresta a un ambiente urbano. Il comun denominatore rimane quel senso di sporcizia e mistero che pervade il tragitto, come se il semplice accostamento cromatico bianco e nero e con tutte le sfumatore di grigio rivelino un orrore nascosto che non può essere visto con gli occhi ma solo con la mente e con l'immaginazione. Limbo stimola letteralmente il cervello del giocatore, che va oltre il semplice 2D e bianco e nero. Vive qualcosa che non può essere razionalizzato.
Limbo raccoglie tutto ciò che esiste di ancestrale nei nostri ricordi, nelle nostre sensazioni e nelle nostre paure. Come una favola, Limbo racconta una storia che trafigge il cuore non con le parole didascaliche, ma con immagini che risvegliano qualcosa di assopito nella parte più remota della nostra mente.
Bellissimo e inspiegabile.
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