domenica 3 maggio 2009
Fortapàsc (2008, Marco Risi)
il 23 Settembre del 1985 Giancarlo Siani viene trovato ucciso sotto casa nella sua Mehari verde.
Tra la Napoli, sede del quotidiano “Il Mattino”, e la Torre Annunziata (chiamata Fortapàsc), dove il Boss Valentino Gionta e il Clan Nuvoletta sono in guerra armata, Giancarlo Siani cerca di farsi strada come giornalista (abusivo) indagando su legami della malavita con le istituzioni politiche locali dopo i fatti del terremoto che hanno portato a una serie di appalti intorno alle quali girava un traffico di denari “sporco”.
Un articolo di troppo sull’arresto di Valentino Gionta che metteva in bilico il rapporto tra due clan in lotta però lo porta inevitabilmente nel loro mirino. Un mirino che non lascia la vittima e che inevitabilmente fa fuoco.
Giancarlo Siani quand’è morto aveva appena compiuto 26 anni. Umile, serio, con lo sguardo che si protendeva verso il futuro.
E’ difficile poter scrivere qualcosa riguardo a film di questo genere, dove coraggiosamente viene evidenziata e ricordata la lama invisibile che taglia e ferisce il nostro paese, che tuttavia continua a rimanere inerte davanti a questa inconfutabile realtà.
Parlare di Camorra con il linguaggio cinematografico è complicato, perché si può finire col “romanzare” troppo storie di uomini e donne comuni che si semplicemente conducevano la loro vita e che sono finiti nel mirino della Camorra poiché sostenevano la giustizia e la verità con una penna, una macchina da scrivere, una macchina fotografica, o semplicemente con uno sguardo e una parola.
Il film Fortapàsc si fa carico di un tema delicato mostrando non solo la presenza della malavita organizzata e la sua morsa intorno al collo della società, ma la sua corruzione radicata nelle istituzioni politiche (o forse le istituzioni politiche radicate nella malavita). Oltre a questo la figura di Giancarlo Siani riflette a fondo sul ruolo del “giornalista-giornalista”, colui che adempie al suo mestiere con forza e dedizione, volendo mettere a disposizione di tutti una verità che da molti viene negata, da pochi viene compresa, e da nessuno viene combattuta . Tranne che da eroi come Giancarlo, che di eroe non aveva altro che volontà d’animo di proseguire le sue indagini. Persone come Giancarlo sono uguali a tutti noi che diventano eroi per scelta e per necessità, ma diventano vittime della loro stessa tenacia e coraggio.
Anche stavolta il Cinema Italiano si addossa il ruolo di testimone, documento,racconto e commemorazione delle vittime della Camorra. E’ un compito amaro, che soprattutto il cinema se ne fa carico.
Dopo il gran successo del film “Gomorra” (2008), trasposizione sul grande schermo del coraggioso successo di Roberto Saviani, il regista Matteo Garrone passa un testimone simbolico a Marco Risi, il quale non fa altro che raccontare Giancarlo Siani nella maniera più realistica possibile, tracciando la sua personalità, umanità, ed nobiltà d’animo, la sua lotta e impegno politico, il suo affetto come amico e il suo amore come fidanzato. Le sue intenzioni non sono quelle di santificarlo, poiché ciò che Giancarlo faceva era solamente perseguire il suo futuro, vivere la sua vita.
E’ interpretato da un impeccabile Libero De Rienzo, che riveste perfettamente la parte. Una parte che viene decorata con piccole caratteristiche tipiche della sua persona, come l’accecante Mehari verde con cui si muoveva tra Napoli e Torre Annunziata, oppure la macchina da scrivere dietro cui era scritto “Giancarlo! Se la tocchi la sposi!”.
Non c’è retorica, solo una attenzione a una autenticità e a una ricostruzione dei fatti storici e quelli personali del protagonista, e dell’epoca e di quella società (la collettività napoletana davanti alle partite di calcio di Maradona, le baraccopoli degradanti lungo le coste, le canzoni di Battiato e Vasco Rossi). Ricostruzione dettagliata è anche della scenografia: infatti buona parte del film è girato nelle location reali dove si sono svolti i fatti.
Magistrali due scene quasi surreali dove simbolicamente viene rappresentata la totale solitudine di Giancarlo: ad esempio la scena dello schiaffo nel Bar, oppure quella nei parcheggi sotterranei. In queste due sequenze di mette in scena un lavoro artistico e tecnico che colpisce lo spettatore come un pugno in faccia svegliandolo da un torpore che il film inconsapevolmente crea nella sala.
Altre sequenze di incaricano di svegliare la coscienza e la consapevolezza della violenza, e del sangue che la Camorra versa costantemente, ed esemplare e cruenta è la sequenza della strage di Sant’Alessandro, dove la ferocia della malavita si esprime in uno scontro quasi western tra le strade assolate e silenziose di Torre Annunziata.
Giancarlo sembra di conoscerlo da sempre, e durante il film speriamo che il suo destino possa cambiare da un momento all’altro, ma l’immagine finale parla da sé
I titoli di coda commemorano il vero Giancarlo Siani con l’immagine di lui in un corteo a Roma, dove sorridente esprime la sua gioia di vivere.il 23 Settembre del 1985 Giancarlo Siani viene trovato ucciso sotto casa nella sua Mehari verde.
Tra la Napoli, sede del quotidiano “Il Mattino”, e la Torre Annunziata (chiamata Fortapàsc), dove il Boss Valentino Gionta e il Clan Nuvoletta sono in guerra armata, Giancarlo Siani cerca di farsi strada come giornalista (abusivo) indagando su legami della malavita con le istituzioni politiche locali dopo i fatti del terremoto che hanno portato a una serie di appalti intorno alle quali girava un traffico di denari “sporco”.
Un articolo di troppo sull’arresto di Valentino Gionta che metteva in bilico il rapporto tra due clan in lotta però lo porta inevitabilmente nel loro mirino. Un mirino che non lascia la vittima e che inevitabilmente fa fuoco.
Giancarlo Siani quand’è morto aveva appena compiuto 26 anni. Umile, serio, con lo sguardo che si protendeva verso il futuro.
E’ difficile poter scrivere qualcosa riguardo a film di questo genere, dove coraggiosamente viene evidenziata e ricordata la lama invisibile che taglia e ferisce il nostro paese, che tuttavia continua a rimanere inerte davanti a questa inconfutabile realtà.
Parlare di Camorra con il linguaggio cinematografico è complicato, perché si può finire col “romanzare” troppo storie di uomini e donne comuni che si semplicemente conducevano la loro vita e che sono finiti nel mirino della Camorra poiché sostenevano la giustizia e la verità con una penna, una macchina da scrivere, una macchina fotografica, o semplicemente con uno sguardo e una parola.
Il film Fortapàsc si fa carico di un tema delicato mostrando non solo la presenza della malavita organizzata e la sua morsa intorno al collo della società, ma la sua corruzione radicata nelle istituzioni politiche (o forse le istituzioni politiche radicate nella malavita). Oltre a questo la figura di Giancarlo Siani riflette a fondo sul ruolo del “giornalista-giornalista”, colui che adempie al suo mestiere con forza e dedizione, volendo mettere a disposizione di tutti una verità che da molti viene negata, da pochi viene compresa, e da nessuno viene combattuta . Tranne che da eroi come Giancarlo, che di eroe non aveva altro che volontà d’animo di proseguire le sue indagini. Persone come Giancarlo sono uguali a tutti noi che diventano eroi per scelta e per necessità, ma diventano vittime della loro stessa tenacia e coraggio.
Anche stavolta il Cinema Italiano si addossa il ruolo di testimone, documento,racconto e commemorazione delle vittime della Camorra. E’ un compito amaro, che soprattutto il cinema se ne fa carico.
Dopo il gran successo del film “Gomorra” (2008), trasposizione sul grande schermo del coraggioso successo di Roberto Saviani, il regista Matteo Garrone passa un testimone simbolico a Marco Risi, il quale non fa altro che raccontare Giancarlo Siani nella maniera più realistica possibile, tracciando la sua personalità, umanità, ed nobiltà d’animo, la sua lotta e impegno politico, il suo affetto come amico e il suo amore come fidanzato. Le sue intenzioni non sono quelle di santificarlo, poiché ciò che Giancarlo faceva era solamente perseguire il suo futuro, vivere la sua vita.
E’ interpretato da un impeccabile Libero De Rienzo, che riveste perfettamente la parte. Una parte che viene decorata con piccole caratteristiche tipiche della sua persona, come l’accecante Mehari verde con cui si muoveva tra Napoli e Torre Annunziata, oppure la macchina da scrivere dietro cui era scritto “Giancarlo! Se la tocchi la sposi!”.
Non c’è retorica, solo una attenzione a una autenticità e a una ricostruzione dei fatti storici e quelli personali del protagonista, e dell’epoca e di quella società (la collettività napoletana davanti alle partite di calcio di Maradona, le baraccopoli degradanti lungo le coste, le canzoni di Battiato e Vasco Rossi). Ricostruzione dettagliata è anche della scenografia: infatti buona parte del film è girato nelle location reali dove si sono svolti i fatti.
Magistrali due scene quasi surreali dove simbolicamente viene rappresentata la totale solitudine di Giancarlo: ad esempio la scena dello schiaffo nel Bar, oppure quella nei parcheggi sotterranei. In queste due sequenze di mette in scena un lavoro artistico e tecnico che colpisce lo spettatore come un pugno in faccia svegliandolo da un torpore che il film inconsapevolmente crea nella sala.
Altre sequenze di incaricano di svegliare la coscienza e la consapevolezza della violenza, e del sangue che la Camorra versa costantemente, ed esemplare e cruenta è la sequenza della strage di Sant’Alessandro, dove la ferocia della malavita si esprime in uno scontro quasi western tra le strade assolate e silenziose di Torre Annunziata.
Giancarlo sembra di conoscerlo da sempre, e durante il film speriamo che il suo destino possa cambiare da un momento all’altro, ma l’immagine finale parla da sé
I titoli di coda commemorano il vero Giancarlo Siani con l’immagine di lui in un corteo a Roma, dove sorridente esprime la sua gioia di vivere.
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